O.L.F.A.
Quadro di Enzo Pasqui (1920-1998)
L’Osservatorio
Letterario fa gli auguri ai suoi Collaboratori e Lettori con gli scritti di
Umberto Pasqui dedicati alla
Direttrice della ns.
rivista!
Az Osservatorio Letterario
Umberto Pasqui, a Felelős igazgatónknak és főszerkesztőnknek ajánlott kis
karácsonyi elbeszéléseivel kíván minden munkatársának és olvasójának szép
karácsonyi és újévi ünnepeket!
La terra come il cielo
Ci si chiede spesso a che cosa servano le tante luci che brillano nelle nostre
cittŕ. C’č chi le ritiene un inutile dispendio di energia, c’č chi storce il
naso, preferendo una maggiore sobrietŕ. Ai bambini piace questo colorato
sfavillěo che trasforma l’ambiente in cui abitano, agli adulti meno: incapaci
di stupirsi, avanzano nel loro arido grigiore senza luce anche nei giorni che
portano al Natale. Non tutti sanno, perň, che le luminarie festose hanno un motivo
ben piů profondo. La terra ha sempre guardato dall’alto verso l’alto il cielo,
sapendo che non l’avrebbe mai raggiunto. Ha sempre accettato che l’aria
accoglie la leggerezza, mentre il suolo quanto pesa. Ha sempre sentito pregare
un Dio che sta nei Cieli, rassegnandosi che solo lassů c’č dignitŕ. Ma un
giorno Dio scese sulla terra. Fu bambino, crebbe, morě e risorse. La terra
volle farsi cielo: non avendo stelle incastonate nella roccia, fece brillare
miriadi di lampadine colorate.
Natale 2003
Il sentiero era chiaro
Il sentiero era chiaro e ben tracciato, sicché il mio passo non aveva dubbi;
sapevo dove andare, perché era lŕ che dovevo andare. Ma, se vuoi, ti spiego per
bene la mia storia. Ero in coda per registrare me e la mia famiglia (una moglie
e tre figli, due dei quali ancora parlano a stento) per il censimento voluto
dai romani. L’ufficiale che mi ascoltň sapeva poco la mia lingua e lo scriba
aveva trascritto il mio nome in maniera sbagliata. Lo corressi, suscitando in
lui un po’ di disappunto. E’ stato un giorno pesante, quello, che quasi del
tutto passai nell’attesa di pronunciare il mio nome e quello dei miei familiari
all’ufficiale di Roma. Io non ho mai visto Roma, ma se dovessi giudicarla in
base ai suoi abitanti che ha spediti qua nella mia regione, la reputerei
raffinata e curata: se tutti i suoi cittadini sono puntigliosi e curiosi come
le guardie che stanno qua, quella davvero č una cittŕ potente. Ogni tanto
guardo in faccia questi romani; mi sembrano cosě disorientati, cosě soli…
Ostentano forza ma, secondo me, soffrono moltissimo la distanza, enorme, dalla
loro cittŕ e dai loro amici. Non dovrei pensare queste cose, lo so, sono tutti
pagani, pubblicani, dovrei disprezzarli ma… Come si fa… Basta guardarli in
faccia! L’ufficiale che mi poneva le domande, in particolare, mi faceva grande
tenerezza. Aspettai che il turno fosse finito e che tutti i miei concittadini
fossero in procinto di tornare a casa, sapevo, infatti, che ormai il giorno era
perduto. Avevo poi dato disposizione a mio fratello di guardare, con le sue,
alle mie pecore, dodici in tutto. Quindi non mi costavo molto stare un altro
po’ in attesa. Lo scriba s’alzň salutando l’ufficiale che si sedé, stanco, sul
seggio rileggendo i nomi raccolti nel lungo giorno invernale. M’accertai che
nessuno fosse nelle vicinanze, per non dare scandalo, e m’avvicinai. Lo
salutai, s’insospettě, chiuse di scatto il suo librone di nomi e numeri e
s’alzň. Parlai un po’ nella sua lingua che conosco appena. Cambiň espressione:
il suo volto si distese, quasi in un sorriso. Sentire qualcuno che, a cotanta
distanza, parla la tua lingua riempie il cuore di calore e serenitŕ. Aveva
capito, e sapeva, che io romano non sono: s’incuriosě, non capiva perché un
ebreo avesse voluto avvicinarsi a lui per parlargli. Forse aveva bisogno di un
amico. Si guardň intorno e mi sorrise. Capii che sentiva freddo e lo invitai, a
gesti, a casa mia. Se solo mi avessero visto i sacerdoti… Egli mi seguě ed
entrammo in casa, tra gli sguardi costernati dei parenti. Mio fratello imprecň
contro di me e le mie idee malsane, poi si scusň, dicendo che era preoccupato
per sua moglie. Mia cognata giaceva malata a letto. Mia moglie non parlava:
aveva paura dello straniero. Mio figlio maggiore era divertito dalla scena ed
incuriosito dalla preziosa veste del soldato. Tutti convenemmo che era cosa
giusta non raccontare a nessuno questa storia. La mia casa accoglieva un
ufficiale romano. Calň la notte sulla cittŕ e Livio (cosě disse di chiamarsi
l’ufficiale) mi riferě che era sua intenzione tornare all’accampamento. Lo
accompagnai fuori dall’uscio e vedemmo un bagliore poco al di sopra
dell’orizzonte, una stella molto piů grossa delle altre. Ci guardammo negli
occhi e comunicammo con lo sguardo che sentivamo entrambi il bisogno di seguire
quella luce. Né io né lui sapevamo il perché, ma dovevamo andare. Rischiavamo
entrambi: io dovevo lasciare la famiglia, i bambini, la cognata malata, il
fratello apprensivo; l’ufficiale, da disertore, andava incontro a un pessimo
destino. Entrambi rischiavamo, perché vedere un ebreo e un romano che
passeggiano di notte non č cosa ritenuta giusta. Uscimmo dalla cittŕ,
dirigendoci verso la stella grandissima. Il sentiero era chiaro e ben
tracciato, sicché il nostro passo non aveva dubbi; sapevamo dove andare perché
era lŕ che dovevamo andare.
Buon
Natale e Felice Anno Nuovo!
Kegyelemteljes
karácsonyi ünnepeket
és
áldásos, boldog új esztendőt!
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